Cassandra Crossing/ La maglietta del Camp

(463) Nostalgia, realismo ed entropia di un simbolo in cotone.


Cassandra Crossing/ La maglietta del Camp

(463) Nostalgia, realismo ed entropia di un simbolo in cotone.

(17 agosto 2020) — Ci sono eventi che cambiano una persona, anche in età (diciamo) adulta.

Cassandra ne ricorda quattro.

Il primo di aver aver utilizzato per la prima volta un Apple ][ di un parente, ed essere diventato di conseguenza (allora bastava poco) un autore dell’oramai estinto, ma allora mitico, gruppo editoriale Jackson; cercando bene nelle bancarelle di libri usati potreste trovare il babbo di Cassandra su qualche numero di “Bit”.

Il secondo, e su questo ha già scritto estesamente, di avere avuto la fortuna di lavorare in Olivetti dal 1986, trovandosi improvvisamente in uno dei più importanti centri culturali italiani, ma soprattutto dentro la prima Rete, ARPANet.

Il terzo di aver partecipato, a Firenze nel 1998, al primo hackmeeting italiano, dove era andato per far ammirare un giocattolo di animazione 3D interattiva (mai sentito nominare il VRML?), e da cui era uscito con una sana lezione di modestia e la testa piena di crittografia ed istanze libertarie.

Il quarto, grazie al suo mentore Obi-Wan Kenobi che già nel 1992 lo aveva “traghettato” nel mondo del software libero, di aver partecipato nel 2007 al terzo Chaos Communication Camp nella mitica location di Finowfurt; da allora ha partecipato, con la classica cadenza biennale, a tutti i camp internazionali tedeschi ed olandesi fino all’anno scorso. 
I camp internazionali si tengono infatti ogni 4 anni, sfalsati tra loro in modo da avere un evento ogni anno dispari.

Ora, è molto difficile spiegare cosa rappresenti un camp hacker, proprio come lo è spiegare cosa fa di una persona un hacker; Cassandra ci ha provato in questa piccola cronaca del CCC 2007, che era piaciuta a parecchie persone, persino alla Regina Rossa, o quest’altra del camp olandese OHM2013.

Ma, diranno i 24 inossidabili lettori di queste paginette, questa lunga e personalistica introduzione cosa c’entra con le magliette, anzi con LA maglietta del Camp?

Beh, questa è facile. 
Chiunque abbia mai frequentato una manifestazione di spippolatori (hacker o meno) sia piccola e nazionale che grandissima ed internazionale, sa perfettamente che impossessarsi subito della maglietta dell’evento è un must, per il quale si è disposti a stare ore in fila sotto il sole pur di non rinunciarci.

Cassandra si commuove ancora guardando quella del CCC2007, decorata con il motto “In fairy dust we trust”, ma ogni maglietta di un evento, bella o meno che sia, diventa un simbolo, un modo di riconoscersi, e soprattutto di fissare ricordi cari e felici, od almeno interessanti.

E qui arriviamo al punto, perché la mania di collezionismo e conservazione porterebbe naturalmente a preservare religiosamente le magliette degli eventi, solo da ammirare, ben piegate ed ordinate in un cassetto dedicato.

La voglia di ricordare e, perché no, di sfigheggiare e farsi riconoscere invece le farebbe indossare sempre.

E se tutti gli oggetti sono caduchi, provvisori, precari, instabili, temporanei, transitori, momentanei, passeggeri, brevi, fugaci, perituri, le magliette dei camp lo sono in maniera particolare
Spesso realizzate in economia, sbiadiscono e si scoloriscono con pochi lavaggi, temono il ferro da stiro e spesso le loro scritte si screpolano. Indossarle vuol dire perderne un pezzetto ogni volta.

E’ per questo motivo che la reazione “giovanile” di Cassandra è stata inizialmente orientata ad un collezionistico conservatorismo spinto.

Passando gli anni, e dal 1998 ne sono passati tanti, questo atteggiamento ha cominciato a mutare. 
Le “magliette strane” come la mia signora le identifica, hanno cominciato ad accumularsi e diventare ingombranti. 
Sono state suddivise in più cassetti ed in più case, migrando anche al mare e, con l’eccezione delle due magliette “sacre” del CCC2007 e dell’Italian Embassy, molte paiono persino destinate ad essere dimenticate.

Infatti, se talvolta l’età porta saggezza, certamente fa dissolvere quel preconcetto di immortalità che la gioventù si porta dietro.

Ed allora anche l’atteggiamento verso la sacra “maglietta del Camp” muta naturalmente. Da oggetto da collezione diventa caro ricordo, da tirare fuori dal cassetto in ogni occasione adatta, ma anche semplicemente quando ce ne viene voglia.
 
Diventa, più che simbolo da sfoggiare (anche se ormai è ben difficile incontrare un “amico di maglietta hacker” in spiaggia), una cosa da godere, un oggetto caduco di cui accettare l’invecchiamento, il lento consumo del tessuto ed i colori che sbiadiscono, come fanno i ricordi.

E sono proprio i ricordi che, così stimolati, rimangono ancora vividi, e consentono anche di raccontare le “storie degli hacker” a qualche persona in più, prima che solo qualche bit sparso per la Rete rimanga a testimoniare come e cosa eravamo.

By Marco A. L. Calamari on August 18, 2020.

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