(440) La Rete causava un tempo un sovraccarico di informazioni, oggi causa un sovraccarico sociale molto più pericoloso.
(440) La Rete causava un tempo un sovraccarico di informazioni, oggi causa un sovraccarico sociale molto più pericoloso.
27 luglio 2019 — Nei primi anni ’90 si cominciò a parlare di “Information Overload”, un sovraccarico informativo che poteva colpire chi utilizzava intensamente la Rete di allora, creando problemi psicologici e di altro tipo simili all’assuefazione da droghe.
Cassandra può garantirvi che è vero, in quanto anche lei ne fu colpita.
“Impossibile — diranno i 24 informatissimi lettori — a quei tempi il web non l’avevano nemmeno inventato, e c’erano solo le mail ed i newsgroup.”
Verissimo, ed aggiungo che all’epoca il traffico del backbone della Rete di allora, che si chiamava ARPANet, era stimato da 40 a 100 Mb al giorno (ripeto megabyte al giorno); un anno dell’intero traffico della Rete nel vostro smartphone.
Il rapporto segnale/rumore dell’epoca era però così altro da essere più che sufficiente per intasare una mente — pensate leggere 80 romanzi al giorno, od anche solo un paio ….
Cassandra, che utilizzava i newsgroup ampiamente, sia per lavoro che non, ne fu colpita in pieno.
Il desiderio di leggere tutto quello che passava, anche solo in una manciata di gruppi, portava via ore ogni giorno; erano cose contemporaneamente belle ed utili, ma ne soffrivano sia il lavoro che il tempo libero.
Era necessario un cambio di paradigma, non “leggere tutto quello che passava”, ma “non aver problemi a scartare quasi tutto senza leggerlo”.
Oggi sembra una cosa facile, anzi elementare, ma allora si trattava
di autoinfliggersi una violenza al fine di spezzare una dipendenza ormai
oggettivamente impossibile da sostenere.
Come tanti altri, con mezzi rozzi, artigianali e sensi di colpa
infiniti, Cassandra ce l’ha fatta e ne è uscita.
La soluzione è stata (ora sembra ovvia) selezionare le informazioni
di tipo push a priori, evitando di registrarsi ad un canale solo perché
“potrebbero parlare di cose interessanti”, e soprattutto scartare la
roba interna ad un canale selezionato ma che non si ha il tempo di
leggere senza rimpianti o sensi di colpa.
Ora sono ovvietà, ma 30 anni fa era un agire contronatura … e talvolta
si perde qualche colpo anche dopo 30 anni. Altro che alcoolisti
anonmi.
Oggi il sovraccarico informativo è quello che si dice un non-problema, viene dato per scontato ed ignorato da qualunque ragazzino dotato di smartphone.
Le informazioni che viaggiano sono per la maggior parte chat, oppure
o social che funzionano come chat.
Il rapporto segnale/rumore è bassissimo; messaggi molto brevi,
solitamente di nessun interesse generale o di lunga durata.
Utili a breve e dannosi alla lunga proprio come i piatti monouso.
Difficilissimo trovare un messaggio con contenuti interessanti e
scritto in buon italiano (o buon inglese, o buon francese) di qualche
centinaio o migliaio di parole, come i racconti o le e-mail di una
volta.
Comunque, nel bene e nel male, problema risolto.
“Un sovraccarico si aggira oggi nella Rete” (frase di vago sapore marxista); colpisce la stragrande maggioranza dei navigatori, causa una fortissima assuefazione, distorce le percezioni e induce una sovrastima delle proprie capacità; è il sovraccarico da reti sociali.
Si tratta di un fenomeno molto più insidioso e persistente del semplice sovraccarico informativo, per una serie di motivi che sono tutti noti ma che spesso vengono, forse involontariamente, ma anche no, ignorati.
Proviamo a farne un piccolo elenco.
I social, utilizzati in piccole dosi possono essere, oltre che carini e fuffosi, addirittura utili; permettono ad esempio di mantenere relazioni a distanza e di ricucire quelle che fisicamente si sono interrotte.
I social sono l’industria più capitalizzata e di maggior successo del terzo millennio, dove tutto il business digitale e dei big data deve in qualche modo transitare.
Essendo il valore economico dei social proporzionale al numero degli utenti, le aziende che li gestiscono, per massimizzare il loro profitto, devono non solo abbassare la barriera di ingresso e di uso, ma renderli in grado di generare assuefazione e dipendenza in tutti i modi possibili, al fine di massimizzare non solo l’adozione da parte di nuovi utenti ma anche la retention di quelli vecchi.
Per non fare la fine delle industrie del tabacco, che in passato sono state colpite duramente perché inserivano per via chimica nel tabacco fattori che ne aumentavano la dipendenza, le aziende che gestiscono i social devono rendere i meccanismi che generano assuefazione il più impercettibili possibile, fino a negarne attivamente l’esistenza.
Poiché l’acquisizione della massima quantità possibile di dati personali degli utenti è il core business di qualsiasi social, ma essa è pesantemente regolamentata e limitata dalle legislazioni degli stati nazionali, questa opera di acquisizione, utilizzo e cessione di dati deve a sua volta essere resa più nascosta possibile agli utenti, e deve essere resa il meno contrastabile possibile da mezzi legali.
Il risultato è che qualsiasi comunità sociale deve cercare di massimizzare la quantità di dati che può ricavare da ogni utente con tre mezzi; aumentando il tempo quotidiano di utilizzo, aumentando il numero di diverse sorgenti di dati personali intercettate (ad esempio dati georeferenziati o biometrici), ed infine aumentando il numero di dati non personali ma di altre persone che gli utenti riversano nei social.
Non c’è quindi da meravigliarsi se fenomeni che forse emergerebbero lo stesso in maniera limitata, vengono potenziati artificialmente fino ad essere problemi non social, ma sociali, ed assurgono a fenomeni globali.
Camere dell’eco, Hate speech, Bolle informative, autoisolamento sociale non sono rifiuti tossici generati dalle comunità sociali, ma prodotti accuratamente coltivati che sono indispensabili per un business profittevole.
Coloro che incitano a lottare contro questi epifenomeni come se fossero casi “estremi” che si possono cancellare od estirpare tramite educazione e formazione degli utenti, oppure con limitazioni legali imposte alle aziende che gestiscono i social, sono per la maggior parte degli “utili idioti” privi di qualunque conoscenza dell’argomento di cui parlano, con una minoranza, comunque molto influente, di persone in totale malafede.
Concludendo, se da un lato il sovraccarico informativo è dovuto a conseguenze involontarie di un mezzo sempre “nuovo” come la Rete, il sovraccarico sociale è un fenomeno non emergente, ma scientemente cercato e coltivato da attori in possesso di risorse economiche, e quindi anche politiche, quasi illimitate, e una volta alla portata solo di stati nazionali.
Lo scacchiere infogeopolitico in cui questa partita viene giocata contiene altri “cattivi”; attori potenti noti o quasi ignoti; forse a settembre Cassandra ci scriverà qualcosa.
By Marco A. L. Calamari on April 24, 2020.
Exported from Medium on January 2, 2024.