Cassandra Crossing/ Realtà virtuale e scarsità reale

(313)  — Mercificare i propri dati rendendo la privacy un oggetto di scambio, non solo per i colossi del Web, ma anche per i comuni…


Cassandra Crossing/ Realtà virtuale e scarsità reale

(313) — Mercificare i propri dati rendendo la privacy un oggetto di scambio, non solo per i colossi del Web, ma anche per i comuni netizen. Un’idea di un pioniere della Rete, un’idea da smontare.

21 febbraio 2014 — Jaron Lanier è stato uno dei pionieri della Rete: sono noti i suoi contributi fondamentali (a partire dal nome stesso) nel campo della Realtà Virtuale. Saggista e musicista, è riuscito ad influenzare profondamente lo sviluppo di alcune aree della Rete ed a stimolare, per usare un eufemismo, il dibattito sulla comunicazione post simbolica e sulle influenze reciproche tra essa e gli esseri umani.

Cassandra, che ha in passato professionalmente esplorato, ma molto meno di quanto avrebbe voluto, il mondo della Realtà Virtuale, ne ha apprezzato moltissimo alcune opere.

Il ricordo di aver attraversato il geometrico ma tutt’ora mitico mondo di Dactyl Nigtmare e poi averne smontato l’hardware immersivo per trovarvi dentro solo un familiare Amiga 3000 con qualche filo scambiato per renderlo meno hackerabile, è ancora vivido ed emozionante a tanti anni di distanza.

Appartenendo più alla generazione di Cassandra che a quella dei nativi digitali, Lanier ha avuto il tempo di elaborare ed esporre idee e posizioni delle più svariate, nonché di cambiare radicalmente opinione su alcune di esse (questa è una dote e non un difetto).

Alcune di queste idee, pur espresse da una persona geniale, sono (a parere di Cassandra) non delle semplici stupidaggini ma concetti profondamente sbagliati e potenzialmente dannosi: un esempio per tutti sia la sua critica distruttiva a Wikipedia, da lui definita Maoismo Digitale.

In un suo recente articolo intitolato “La fine della privacy”, e pubblicato in Italia con l’onore della copertina sul numero di Febbraio de “Le Scienze” (la cui lettura suggerisco vivamente), Lanier affronta la questione della privacy e dei Big Data da un punto di vista non informatico ma di equilibrio tra tecnologia, economia e società.

Dando per acquisito il fatto che nel mondo post-Datagate la privacy degli individui è sistematicamente azzerata, e che solo con grande sforzo e dispendio di energia pochi individui “tecnologicamente dotati” sono in grado di conservarne una piccola parte, espone l’idea che in effetti la totale trasparenza di tutta la società, dai progetti dei governi fino ai piani segreti dell’NSA, potrebbe essere in linea di principio un modo di equilibrare la scomparsa della privacy per gli individui.

Idea certo ardita ma con un robusto fondo di ragionevolezza: non si parla da tanto dell’esigenza della “trasparenza” dell’operato dei governi e delle pubbliche amministrazioni?

Ma con un improvviso cambio di direzione, immediatamente argomenta con vigore che un’assoluta trasparenza sarebbe ancor più dannosa per gli individui, perché le entità che maneggiano i Big Data (governi, Google…) ne riceverebbero vantaggi infinitamente maggiori di quelli che riceverebbero gli individui.

Ancor più bizzarramente Lanier conclude che forse l’unico modo di creare un ecosistema equilibrato del flusso di dati personali sia quello di rendere oneroso qualsiasi loro uso, permettendo, anzi, imponendo alle persone di fissare un prezzo per l’uso dei loro dati personali, ed ai signori dei Big Data l’obbligo di pagarli se li usano. In questo modo il diritto alla privacy diventerebbe semplicemente l’atto di fissare un prezzo altissimo per i propri dati, ed accettare la conseguente perdita economica.

Bizzarro, eretico, distruttivo. Lasciamo perdere in questa sede il potere che una simile struttura di “Personal Data Market” capace di vincolare tutti i Big Data player dovrebbe avere, e sorvoliamo pure su chi dovrebbe controllarla, e su chi controllerà i suoi controllori. La trasparenza totale quindi favorirebbe i potenti (che stranamente l’hanno sempre aborrita) ed essere obbligati a vendere il proprio sé digitale sarebbe una soluzione migliore ed alternativa ad una maggiore trasparenza della società?

Ancora più insidioso: volgere l’intero flusso dei dati del cyberspazio verso costi non nulli ma alti sarebbe il motore di una nuova economia? Non piuttosto la strada maestra verso nuove carestie?

Come Cassandra ha esordito, anche i geni, particolarmente superata la mezz’età, hanno tutto il diritto di dire fesserie, e questo ne è probabilmente un ottimo esempio. Solo chi vive da sempre in mezzo all’abbondanza, sia materiale che informativa, può perdere di vista le condizioni di base in cui vive la maggior parte dell’umanità, non solo nei paesi “in via di sviluppo” ma anche nelle superpotenze economiche.

Può perdere di vista la contrapposizione individuo-società, che da sempre è alla faticosa ricerca di un equilibrio, quasi sempre effimero o spezzato, quindi devastante appunto per l’individuo.

Può perdere di vista che viviamo in un mondo in cui le risorse materiali sono limitate e quindi non possono essere disponibili per tutti, ma quelle immateriali sono abbondanti, capaci di disseminarsi e combinarsi fra loro, gratuite.

Renderle artificialmente scarse e costose dovrebbe essere classificato come un delitto contro l’umanità ed essere giudicato alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, non certo essere indicato come la strada verso un benessere maggiore per tutti o per la soluzione dei problemi sociali.

Quindi attenzione: essere geniali e scrivere ricerche accademiche ed interventi su testate mainstream non è condizione sufficiente ad evitare di esprimere o sostenere idee totalmente errate.

Anche le persone normali come noi possono caderci: basta che si trovino in mano un oggetto connesso e rischiano di convincersi che un “like” od un “hashtag” possano minimamente contribuire a cambiare il mondo. Basta non essere coscienti del come mai si abbia a disposizione una cosa gratuita che ha un prezzo e non chiedersi come la si stia pagando o quanto la si stia pagando.

Le quotazioni in Borsa delle Regine dei Big Data sono lì a spiegarlo a tutti tranne a chi non vuole capire. Basta non percepire più la potenza dell’economia del Dono, non saperla più distinguere da quella del Denaro.

Allora si può tranquillamente criticare distruttivamente Wikipedia, regalare i propri ed altrui dati personali taggando le foto di altre persone, far pagare ai poveri quello che è gratuito, ed anche credere alla Fata Turchina ed al Re buono (che quindi non è “evil”), mentre sia in Rete che nel mondo materiale si incontrano solo Mangiafuoco ed il Lupo Cattivo, ovviamente arricchiti, eleganti, sorridenti e — oh, certo — con un aspetto così “politically correct”.


Originally published at punto-informatico.it.


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By Marco A. L. Calamari on April 3, 2023.

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