(272) — Per non farsi spaventare da chi sa mettere a tacere le voci scomode, per fare di una voce un coro, per restituire qualcosa a chi…
(272) — Per non farsi spaventare da chi sa mettere a tacere le voci scomode, per fare di una voce un coro, per restituire qualcosa a chi ha dato molto. In tanti, per supportare gli Aaron Swartz che verranno.
23 gennaio 2013 — La notizia dell’ultima scelta di Aaron Swartz, e delle azioni ed omissioni dei tanti, tristi, brutti e cattivi comprimari di questa emblematica vicenda sta muovendosi dalla cronaca alla storia.
Pare che sia i media che i cittadini della Rete, per una volta d’accordo, abbiano ottenuto che l’ennesima persecuzione contro un eccellente hacker ed essere umano, accusato artatamente di essere un criminale, si ritorcesse contro chi aveva imboccato questa classica ed ahimè “produttiva” strada.
Forse è davvero possibile che nella burocrazia degli States qualcuno per una volta paghi il prezzo del suo cinismo.
Ed è forse possibile che un’istituzione per tanti versi tempio della libertà come il M.I.T. si interroghi seriamente e si chieda se la sua storica reputazione sia stata difesa abbastanza, se l’inazione o la paura l’abbiano in questo caso resa un’istituzione qualsiasi e non una che ha fatto tante volte la storia della società civile, e se in ultima analisi ci sia qualcuno da rimproverare o da punire.
Di nuovo — forse. Ma davvero questo può bastare a consolarci anche solo un poco?
Mentre Cassandra, rattristata e sconvolta, leggeva cronaca e commenti fatti da penne ben migliori di lei, è accaduto che una voce amichevole le dicesse: “Mi aspettavo che ne scrivessi”. La voce aveva, e tuttora ha, perfettamente ragione.
Ma è difficile scrivere a comando qualcosa che valga la pena di essere letto. Ben lo dice Lawrence Lessig in questo post.
Forse dipende dal fatto che aver partecipato alla vicenda di Len Sassaman e di sua moglie Meredith, aver cercato di far qualcosa arrivando a scrivere una lettera autografa in buon inglese ad Arnold Schwarzenegger, ed aver poi partecipato alle esequie di un giovane e brillante uomo che aveva anche lui scelto di dire “BASTA!” le rendono lo sforzo troppo grande.
Ma una strada c’è: lasciar perdere per una volta integralmente il cuore e far lavorare solo la mente.
Da questo punto di vista una cosa ancora non detta, o almeno non detta con sufficiente chiarezza e forza, può essere scritta.
Come gli inossidabili 24 lettori hanno sentito ripetere fino alla nausea, Lawrence Lessig ha perfettamente ragione quando dice che “solo il codice è legge nel ciberspazio”.
Lo ha detto, con grande intuizione e sintesi, molti anni fa. E forse al tempo nemmeno lui aveva previsto quanto il futuro gli avrebbe dato ragione. L’affermazione infatti può essere estrapolata facilmente nella direzione del mondo reale, dove l’informazione, se resa prigioniera e segreta, diventa strumento di potere, ed il software non libero e disponibile diviene uno strumento di controllo prima indiretto, poi diretto ed infine addirittura uno strumento di costrizione.
Oggi che il software permea tutto, in un mondo dove come non mai la conoscenza è denaro e potere, pretendere di esercitare il potere della conoscenza e del software in forma liberatoria, come ha fatto fino all’ultimo Aaron, fa paura, e sul serio, a chi il potere ce l’ha.
E questo rende del tutto naturale che chi spacca il capello in quattro, anzi, in sedici, quando si tratta di colpire chi devasta la società civile, non si faccia scrupolo di criminalizzare ragazzi che tanto regalano (non vendono, “regalano”) alla stessa società civile.
Se si valutassero solo i vantaggi materiali, dovrebbe essere la società civile a far causa e rivalersi su chi ha indotto Aaron al suo ultimo passo, per averci privato tutti di quello che avrebbe fatto nel mezzo secolo di vita produttiva che ancora lo attendeva.
Ma questa triste vicenda non è solo l’esito di una battaglia tra buoni e cattivi: il mondo è difficile da capire se visto solo come un insieme di contrapposizioni.Di certo è l’esito finale dell’incontro tra chi biblicamente sarebbe definito un “giusto” ed i “farisei” che hanno deciso di sottoporlo ad una pressione psicologica portata all’estremo.
Questa pressione, unita ai momenti di solitudine che tutti troppo spesso conosciamo, l’ha spezzato.
E contro questo si può fare qualche cosa. Aiutare, supportare, non c’è bisogno di arrabbiarsi e scendere in campo.
“Ci vorrebbe un amico…”, anzi il suo equivalente: sapere dove andare ed a chi chiedere quando l’imprevisto ha bussato alla tua porta, quando sono riusciti a farti paura.
Un aiuto pensato specificatamente per questa situazione speciale ma ahimè comune, in cui l’hacker di turno, quasi onnipotente nel suo mondo, si rende improvvisamente conto di essere invece un solitario vaso di coccio in mezzo a tanti e ben più grossi vasi di ferro.
Aaron certo non era povero ed aveva avvocati, ma forse anche lui avrebbe avuto bisogno di condividere con suoi pari esperienze già successe ad altri: tanti piccoli Aaron in giro per il mondo si sono certamente zittiti, o forse mai si esporranno come lui perché soli.
La società civile, che tanto ha avuto, dovrebbe in questo caso essere pronta a dare, ma specialmente qui ed ora è ben difficile aspettarselo.
Dovrebbe essere in grado di aiutare le persone meravigliosamente differenti a pensare (ed agire) in maniera differente. Invece quello che riesce a fare, e solo qualche rara volta, è celebrarle dopo… dopo il successo, la morte o ambedue le cose.
Per la salvezza dei piccoli hacker restano solo le loro comunità di uguali, che da trent’anni nascono e crescono in tutta la Rete grazie al lavoro di tantissimi grandi, medi e piccoli Aaron: sono l’unico posto dove un aiuto tempestivo può essere offerto e cercato.
Quindi, messaggio alle maillist, ai blog, alle comunità sociali, ai LUG, ai professori, ai Cittadini della Rete e alle altre entità che nella cultura libera vivono e prosperano: organizzatevi, aguzzate le orecchie e fate tutto quello che potete, un piccolo Aaron potrebbe essere proprio adesso accanto a voi.
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By Marco A. L. Calamari on June 27, 2023.
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