Lampi di Cassandra/ Ignoranti, superficiali, in malafede, venduti

(190) — La consapevolezza del proprio ruolo e del proprio potere. La fiducia nelle capacità del collettivo e del singolo. Prima di parlare…


Lampi di Cassandra/ Ignoranti, superficiali, in malafede, venduti

(190) — La consapevolezza del proprio ruolo e del proprio potere. La fiducia nelle capacità del collettivo e del singolo. Prima di parlare è consigliato di collegare il cervello.

29 giugno 2010 — Una recentissima pronuncia della Corte di Cassazione ha dichiarato reato la modifica di apparecchiature che siano principalmente e dichiaratamente dedicate a mantenere la sicurezza.

Più nello specifico, ha confermato illegale la pratica del “modding” di console videoludiche, recependo in buona sostanza l’impostazione, ormai inarrestabile in Europa, del DMCA (Digital Millennium Copyright Act) statunitense.

In parole povere, la perdita di libertà del legittimo ed esclusivo proprietario di un’apparecchiatura, di farci quello che vuole. Sarebbe come se qualcuno dichiarasse reato che, dopo aver comprato un blocchetto Yale, io lo smontassi per vedere come è fatto; in questo caso dovrei essere in galera dall’età di 6 anni circa. La palese ingiustizia di questa impostazione è cosa troppo nota e discussa perché meriti rivangare ancora una volta i notissimi pro e contro, e i ruoli degli attori di questo importantissimo ma ormai datato balletto.

Le danze sono aperte da tempo e chi vuol danzare veramente ha già scelto da che parte stare.

Mi pare invece degna di nota, commento ed indignazione la reazione, molto diffusa tra il popolo della Retina italiana, di accanirsi ed inveire contro l’organismo che si è pronunciato sulla questione. La Corte di Cassazione, per chi non lo sapesse, è chiamata a pronunciarsi sulla correttezza dell’aspetto formale di una precedente sentenza di secondo grado, ed a questo può e deve limitarsi.

I suoi pronunciamenti sono quindi filtrati e condizionati dalle stesse “categorie” legali, ed una materia tecnica e giuridica mutevole e complessa come quella in oggetto è certo di particolare difficoltà, sia di comprensione che di decisione, per chi tecnico non è e non è mai stato.

Mi ha indignato infatti la veemenza con cui in diverse occasioni, anche sui forum di PI, ho sentito persone esprimersi nei confronti della Corte di Cassazione. Le definizioni più forti le ho raggruppate nel titolo di questo articolo, ed a parer mio non si applicano alla Corte ma a buona parte, se non a tutti, coloro che le hanno scritti. E preciso che questa non è la difesa di una istituzione, visto che oltretutto le istituzioni di questo calibro sanno benissimo difendersi da sole quando necessario.

Per sintetizzare: se veramente si è a favore della libertà quando coniugata in termini di Rete e di informatica di consumo, è onesto, doveroso ed indispensabile prima di tutto trarne le conseguenze a livello personale.

Può un cittadino digitale, nativo o immigrato, dichiararsi tale o tale apparire senza avere una conoscenza elementare dei rischi ormai ben individuati che corre? Può ad esempio non sapere esattamente cosa significa e quali conseguenze hanno profilazione e geolocalizzazione, o dichiararle trascurabili od inevitabili senza sapere nemmeno di cosa parla? “Così fan tutti”?

Un comportamento del genere è ben descritto dalla parola “Ignoranza”.E può un partecipante attivo della vita della Rete organizzare conferenze sulle libertà digitali o meeting di pirati utilizzando solo Facebook e Google Docs, “…perché sono più comodi”? Dio mio, ma di cosa stiamo parlando?

Si tratta o no di un grave caso di “Superficialità”?

E che dire della “Buonafede”? Certo, tutti abbiamo il diritto di sbagliare, specialmente se ci limitiamo a farlo a nostro esclusivo danno e non pubblicando le foto degli amici su Facebook o Flickr a loro insaputa. Ma se ci coglie il minimo dubbio di stare facendo stupidaggini e danni ad altri, qui scatta la malafede di difendere i propri comportamenti socialmente sbagliati con motivazioni che diventano solo scuse di comodo, accusando poi ipocritamente chi si limita a fare il proprio mestiere.

Ed infine cosa significa essere “Venduti”? Lo sono solo quelli che intascano mazzette o comprano case a prezzi di saldo, o non meritano di essere chiamati venduti anche coloro che fanno mercato di se stessi e della cultura accettando, incoraggiando e finanziando chi vuole sopprimere la libera circolazione della conoscenza, incanalandola in un sistema di business che produrrà profitti per qualcuno ma non benessere per tutti?

Non è un venduto, e nel senso peggiore possibile come Faust o Dorian Gray, chi vende l’anima sua e degli altri per il piacere o la comodità di avere un bell’oggetto in tasca, da godere e sventolare in giro per essere più fico degli altri?

Nessuno ha il diritto di meravigliarsi di chi interpreta la legge corrente da un punto di vista formale e deve in base a questo prendere decisioni “sgradite”.

E nemmeno di indignarsi se coloro che per mestiere hanno scelto di fare il lobbisti poi manipolano la realtà e disinformano con tutti i mezzi possibili per il vantaggio loro e dei loro sodali.

Per avere il diritto morale di farlo, dovete prima trovare e rimuovere la trave dal vostro occhio.


Originally published at punto-informatico.it.


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By Marco A. L. Calamari on November 8, 2023.

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