Cassandra Crossing/ La Rete non è gratis

(124)  — Quando vedete quei piccoli form paypal, quei numeri di conti correnti o quegli indirizzi che vi richiedono qualche soldo…


Cassandra Crossing/ La Rete non è gratis

(124) — Quando vedete quei piccoli form paypal, quei numeri di conti correnti o quegli indirizzi che vi richiedono qualche soldo, utilizzateli. Fatevene un punto d’onore, un’abitudine.

20 giugno 2008 — No, tranquilli, non si tratta dell’ennesima spiegazione della differenza tra “Free as a beer” and “Free as in Freedom”, tanto cara al mai abbastanza lodato RMS ma di alcune considerazioni sugli effetti che la gratuità d’uso della Rete ha avuto e potrà probabilmente avere in futuro sull’evoluzione della Rete stessa.

Ai tempi di Milnet, Arpanet e NsfNet non esisteva il concetto di “uso” o di “accesso” della Rete; o si era dentro o si era fuori. Eri “dentro” se avevi la fortuna di lavorare in un’università o in un’azienda che aveva l’accesso.

Il “costo” della Rete veniva calcolato sulla base del costo dell’infrastruttura backbone, e ci si meravigliava che le aziende fossero disposte a regalare computer e banda a tutti, trovandone giustificazione nella creazione di un circolo virtuoso, altrimenti irrealizzabile, di cui tutti beneficiavano, e che era possibile solo perché sfuggiva ai controlli budgetari e dirigenziali.

In Italia nei primi anni 80 solo Olivetti, che metteva a disposizione Olivea (uno dei 12 host backbone di NsfNet), aveva un accesso per i suoi dipendenti; per quello che può interessare ai miei 4 lettori, essere in Rete nell’86 mi ha cambiato la vita molto più di una laurea, di un master o di una importante esperienza lavorativa.

Ma torniamo al tema di oggi.

Il concetto di costo per l’accesso o l’uso della Rete inizia a formarsi, almeno in Italia, dagli anni 90, quando i primi venditori di accesso via modem (che poi hanno assunto la più roboante denominazione di Internet Service Provider) iniziarono a vendere costosi ma non troppo kit di accesso via modem e linea commutata.

Molti abitanti della piccola Rete di allora (meno di 200.000 persone nel mondo, meno di 10.000 in Italia) si precipitarono a comprarne uno per soddisfare la propria “fame” di accesso privato e liberamente usabile alla Rete senza dover giocare a rimpiattino o comprare la benevolenza e la complicità degli amministratori di sistema.

Io ero allora l’utente numero 8 del mitico provider fiorentino Dadanet.

Nasce così la categoria commerciale ed economica di “costo dell’accesso” alla Rete. Fu un momento di transizione che riuniva il meglio di due epoche; l’antica Rete di amici fidati sempre disposti ad aiutarsi uno con l’altro, amici solo per il fatto di essere in Rete, con la disponibilità di accessi privati, liberi da vincoli aziendali od universitari e relativamente economici.

Dopo poco da questa nuova via di accesso alla Rete, sono arrivate orde di troll, criminali, truffatori, psicopatici od ancora peggio semplici idioti, ma questa è un’altra storia…

Non esistevano pero’ ancora “servizi” erogati tramite la Rete che avessero un valore d’uso identificabile e separabile dal resto; in Rete si cercavano e si scambiavano informazioni, senza il “pons asinorum” rappresentato dagli allora inesistenti motori di ricerca. Le informazioni venivano messe in Rete prevalentemente come attività volontaria, e con le stesse finalità virtuose venivano scambiate.

Poi sono nati i primi servizi commerciali in Rete.

Appare la pubblicità che in presenza di un grande numero di utenti (ma forse ormai è meglio chiamarlo pubblico), diventa un business profittevole.

Con il concetto di servizio erogato tramite la Rete appare il valore d’uso del servizio, che genera non un semplice e-commerce di beni materiali ma un ciclo economico fatto solo di bit e completamente contenuto e scambiato nella Rete stessa.

Accadono poi contemporaneamente due fatti apparentemente contraddittori.

Da una parte la gente comincia ad essere disposta a pagare per avere accesso o per usare un servizio, una parte della Rete.

Dall’altra alcuni ISP iniziano a distribuire accessi gratuiti, seppur inizialmente limitati, ed alcuni fornitori di servizi cominciano a regalarli sistematicamente.

Sono tutti impazziti? Ovviamente no.

La pubblicità basta a pagare tutto? Non proprio; la faccenda non è così semplice, perché la Rete non è solo una televisione con più pulsanti.

Il motivo vero, noto ai più ma spesso relegato in un angolo della coscienza, è che gli utenti di accessi e servizi gratuiti in realtà usano servizi a pagamento che non richiedono denaro ma un altro tipo di moneta di scambio fatta di informazioni personali. Informazioni che sono ben più importanti e di valore del semplice “contatto” pubblicitario.

Informazioni che sono ben più importanti e pericolose perché permettono, una volta opportunamente distillate, di rivelare comportamenti ed abitudini ben più profondi ed intimi degli utenti di questo moderno Paese dei Balocchi di Pinocchio.

Pinocchio, come è ben noto, dopo quella esperienza si trasformo’ in un asino ed ebbe seri problemi. Questo parallelo può essere facilmente esteso alla maggioranza degli attuali utenti della Rete, che in un orgia di gratuiti divertimenti si sono trasformati da attori e creatori di valore in autentici asini capaci solo di ragliare e consumare prodotti commercialmente preconfezionati.

I soliti discorsi retro’ di un vecchio brontolone” dirà certamente qualcuno dei miei affezionati critici sui Forum di PI.

È certamente vero, ma questo non impedisce che contengano un’alta percentuale di verità.

C’è un’alternativa?

Si, ma è difficile, l’opposto dell’andazzo appena descritto. È fatta ancora di persone che offrono informazioni e servizi a gratis e su base volontaria.

C’è pero’ una differenza importante; non ci sono più le aziende e le università che coprano i costi reali di infrastruttura e del tempo delle persone. È pur vero che questi costi si sono molto abbassati, ma continuano ad esistere e sono di ostacolo a chi magari il tempo sarebbe ben disposto a regalarlo ma con i pochi soldi deve “campare la famiglia”.

La morale?

Semplicissima: la Rete non è gratis. Va pagata.

Si paga molto salata quando lo si fa con informazioni personali. Si paga vendendo la propria ed altrui privacy a prezzi stracciati, come dimostra il valore crescenti di aziende come Google o Acxiom.

Si può però efficacemente pagarla anche sostenendo chi sulla Rete opera alla vecchia e cavalleresca maniera, e si contenta di pochi spiccioli per coprire le spese.

Perciò affilate il vostro senso critico, od almeno i vostri sensi di colpa, e quando vedete quei piccoli form paypal, quei numeri di conti correnti o quegli indirizzi di casella postale che vi richiedono qualche soldo, utilizzateli. Fatevene un punto d’onore, un’abitudine.

Sentitevi squallide merdacce profittatrici quando non lo fate.

Quando arrivate alla fine di una sessione proficua e soddisfacente di uso della Rete pensate se l’avete pagata, e come.

Sta anche a voi scegliere. Se vi contentate, continuate pure a bazzicare esclusivamente comunità digitali, oroscopi e Sudoku ed a pagare con pezzi del vostro Io digitale più intimo.

Altrimenti, se usate servizi diversi e più specializzati, guardatevi in fondo alle tasche e tirate fuori qualche spicciolo per dare il vostro contributo alla baracca.

Possono essere informazioni o servizi se ne avete di valore, possono essere semplicemente i soldi di una suoneria o di una pizza se non siete particolarmente creativi od ispirati.

Non esistono cose come un pranzo gratuito.

Non esiste una Fata Turchina che possa redimere gli asinelli anche se pentiti.

Ascoltate per una volta il grillo saggio, invece di prenderlo a martellate.

La Rete non è gratis, ed un un modo o nell’altro l’avete sempre pagata e continuerete a pagarla. Il modo che sceglierete in futuro potrà in parte guidarne l’evoluzione, e farla forse diventare qualcosa di migliore e di diverso rispetto al Paese dei Balocchi elettronico verso cui oggi sembra essere diretta.


Originally published at punto-informatico.it.


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By Marco A. L. Calamari on January 5, 2023.

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